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martedì 3 novembre 2020

Studi di valutazione degli effetti della riforma del 2013

In merito alla valutazione degli effetti della riforma ISEE, non vi sono state al momento molte pubblicazioni, sia perché si tratta di un intervento abbastanza recente e sia per la non facile reperibilità dei dati, infatti proprio per questo ultimo motivo il decisore pubblico ha cercato di agevolare le valutazioni di tipo ex-post introducendo nel DPCM alcune disposizioni specifiche. L’art.12 ha previsto esplicitamente che “l'INPS e gli enti erogatori effettuano elaborazioni a fini statistici, di ricerca e di studio in forma anonima.” Sempre per i medesimi fini l'INPS può fornire un campione anonimizzato delle dichiarazioni sostitutive uniche e delle attestazioni alle regioni e alle province autonome, che ne facciano richiesta, limitatamente al loro ambito territoriale di competenza.

Alcune pubblicazioni hanno trattato dell’impatto della riforma dell’ISEE utilizzando banche dati miste, come per il caso del lavoro dell’Istituto Regionale Programmazione economica della Toscana (IRPET) pubblicato a luglio 2014 dal titolo “L’impatto della riforma dell’ISEE sulle prestazioni socio sanitarie per la non autosufficienza in Toscana” a cura di Letizia Ravagli. In questo studio sono state utilizzate le dichiarazioni sostitutive uniche presentate nella Regione Toscana nell’anno 2013 e l’indagine campionaria dell’ISTAT sui redditi e le condizioni di vita delle famiglie EUSILC[1] del 2011. Il lavoro, come rilevabile già dal titolo, è dedicato all’impatto della riforma ISEE nell’ambito della non autosufficienza, utilizzato per definire l’importo della compartecipazione dell’assistito alla spesa per la quota sociale delle prestazioni erogate (pertanto esclusa la quota sanitaria in quanto livello essenziale delle prestazioni), distinguendo tra prestazioni domiciliari e prestazioni in residenze assistite. Prima della riforma ISEE la Toscana utilizzava le proprie regole che, in base alla tipologia della prestazione, prevedevano o il calcolo dell’indicatore del solo assistito considerando i redditi ai fini IRPEF oltre al patrimonio in un caso, o anche le indennità previdenziali e assistenziali nell’atro caso e sommando anche l’ISEE dei parenti in linea retta se le risorse del beneficiario non fossero state sufficienti a coprire le spese. In questo lavoro è stato simulato, per lo stesso soggetto, sia l’ISEE pre-riforma (in quanto la particolarità delle modalità di calcolo non consentiva di utilizzare i dati INPS tali e quali) che quello post-riforma. Il nuovo ISEE ha definito anche la casistica delle prestazioni agevolate di natura socio-sanitaria, andando quindi ad azzerare la normativa regionale. Secondo questo studio la riforma ISEE avrebbe portato in maggior parte, per le classi ISEE più basse, a una riduzione, seppur lieve, dell’indicatore; per le classi più alte il rapporto si rovescia e coloro che ne sono svantaggiati sono presenti in misura maggiore rispetto a coloro che ne sono avvantaggiati e con incrementi maggiori rispetto ai decrementi previsti per le classi più basse.

Un altro lavoro, sempre del 2014, è “Gli effetti distributivi della riforma dell’ISEE: la Puglia in prospettiva comparata” di Michele Raitano. In questo caso è stata utilizzata una diversa banca dati, l’indagine SHIW della banca d’Italia[2]. È stato quindi utilizzato un campione rappresentativo di tutto il territorio nazionale ed è stato calcolato l’ISEE ordinario, cioè sono esclusi i casi dell’ISEE per prestazioni socio-sanitarie, per i minorenni, per il diritto allo studio e l’ISEE corrente. Anche qui, come peraltro in tutti gli altri casi, sono state fatte delle necessarie assunzioni per la mancanza di alcune informazioni, tuttavia una risulta molto importante: ovvero l’impossibilità di ricostruire il valore del patrimonio ai fini IMU. Lo studio si concentra poi sui valori ISEE inferiori a 20.000 euro, soglia scelta in quanto oltre questo valore è stato ritenuto che i soggetti non accedano a prestazioni sociali e rileva un aumento dell’indicatore tra l’1,3% e il 7,4% dovuto alla riforma. La componente reddituale post-riforma risulta più alta del 24%, imputando la crescita ai trattamenti assistenziali in precedenza non inclusi, mentre la componente patrimoniale sarebbe stata più bassa del 26-28% in virtù delle maggiori detrazioni previste per l’abitazione principale e di quelle minori previste per la componente mobiliare del patrimonio[3]. Emerge poi la riduzione degli ISEE con valore zero, pari allo 0,5% delle attestazioni a fronte del 9% pre-riforma. Lo studio evidenzia infine che per livelli bassi di ISEE (sotto i 7.000 euro), i soggetti che con la riforma risultano essere più ricchi, lo sono in misura più che proporzionale rispetto a coloro che invece risultano essere più poveri.

Ancora un lavoro di valutazione ex ante, che però utilizza dati diversi, è “Il Nuovo Indicatore della Situazione Economica Equivalente: È Una Vera Riforma?” di Martina Menon, Federico Perali, Veronica Polin del Dipartimento di Scienze economiche dell’Università di Verona del 2015. In questo caso è stata utilizzata la banca dati dell’indagine campionaria IT-SILC 2008, che rispetto a quella utilizzata da Raitano è più completa per quanto riguarda i redditi e il patrimonio immobiliare mentre è più lacunosa per quanto riguarda il patrimonio mobiliare. Anche questo studio, come quello precedente, è svolto a livello nazionale ma con risultati diversificati anche per macroregioni. Secondo questo studio «la riforma […] sembra tale più di nome che di fatto, […] per la popolazione italiana l’ISEE post-riforma è aumentato di circa il 3% variando da circa il 2% al Nord e al 4-5% al Centro e al Sud.» Tuttavia, rispetto al precedente studio in questo caso la componente patrimoniale subisce un incremento che è più che compensato dalla componente reddituale, redditi che invece sono diminuiti grazie alle detrazioni. Pur con risultati parziali completamente diversi anche in questo lavoro risulta che per bassi livelli di ISEE l’aumento dell’indicatore risulta più alto rispetto alle classi di ISEE più elevate. Le famiglie con invalidi risultano svantaggiate dalla riforma, specie nel centro e al sud, mentre ne sono avvantaggiate le famiglie povere con un solo genitore.

Risulta assai complicato fare una sintesi dei diversi studi, sia per l’utilizzo di banche dati diverse – o promiscue – che hanno comportato il dover fare alcune assunzioni, anche molto forti come nel caso della impossibilità di risalire al valore IMU, sia per le diverse finalità degli studi che si sono concentrati su alcuni aspetti. Tutti risultano accomunati dalla difficoltà nel trattare le novità introdotte dalla riforma in merito ai disabili, sia per l’aspetto relativo ai trattamenti assistenziali, previdenziali ed indennitari che sono – o meglio, che erano – entrati a far parte dei redditi, sia per le detrazioni personali e del nucleo legate alla condizione di disabilità. Questa problematica è stata un limite, per tutti gli studi, nel procedere a una più attenta valutazione dell’impatto della riforma e, a seguito dei successivi sviluppi, anche un limite nell’attribuire una validità agli studi stessi.

Tra gli studi di valutazione ex ante una menzione particolare va riservata a quello dell’IRPET pubblicato a maggio 2015, per il quale vi è una analisi un po’ più dettagliata nel terzo capitolo. Nello studio IRPET sono stati utilizzati i dati delle dichiarazioni sostitutive uniche del 2014 presentate dagli studenti universitari della Toscana, integrati da altre banche dati esterne. Seppur con valori medi diversi, tutti sottostimati rispetto a quello che è poi stato l’ISEE effettivo, in special modo per la parte reddituale, l’affermazione dell’IRPET che «quando la situazione degli studenti migliora è grazie al ruolo della componente reddituale, quando invece peggiora è soprattutto il patrimonio a incidere negativamente», trova qui una decisa confermata.



[1] «Il progetto EU-SILC (Statistics on Income and Living Conditions), […] costituisce una delle principali fonti di dati per i rapporti periodici dell’Unione Europea sulla situazione sociale e sulla diffusione della povertà nei paesi membri.» «L’indagine è condotta su un campione di circa ventinovemila famiglie estratte casualmente, distribuite in circa 640 comuni italiani di diversa ampiezza demografica.» (fonte: https://www.istat.it/it/archivio/5663).

[2] Acronimo di Survey on Household Income and Wealth, «l'indagine nasce negli anni '60 con l'obiettivo di raccogliere informazioni sui redditi e i risparmi delle famiglie italiane. Nel corso degli anni l'oggetto della rilevazione si è andato estendendo per includere anche la ricchezza e altri aspetti inerenti i comportamenti economici e finanziari delle famiglie, come ad esempio l'uso dei mezzi di pagamento. Nelle ultime indagini il campione è formato da circa 8.000 famiglie (20.000 individui), distribuite in circa 300 comuni italiani.» (fonte: https://www.bancaditalia.it/statistiche/tematiche/indagini-famiglie-imprese/bilanci-famiglie/index.html?com.dotmarketing.htmlpage.language=102)

[3] Entrambi i valori sono dissonanti con tutti quelli degli altri studi in questione; per la valutazione della componente patrimoniale a causa della limitazione manifestata, mentre per la componente reddituale risulta, probabilmente, spiegata dalla sottostima delle detrazioni per la presenza di disabili.