In merito alla valutazione degli effetti della
riforma ISEE, non vi sono state al momento molte pubblicazioni, sia perché si
tratta di un intervento abbastanza recente e sia per la non facile reperibilità
dei dati, infatti proprio per questo ultimo motivo il decisore pubblico ha
cercato di agevolare le valutazioni di tipo ex-post introducendo nel DPCM
alcune disposizioni specifiche. L’art.12 ha previsto esplicitamente che “l'INPS
e gli enti erogatori effettuano elaborazioni a fini statistici, di ricerca e di
studio in forma anonima.” Sempre per i medesimi fini l'INPS può fornire un
campione anonimizzato delle dichiarazioni sostitutive uniche e delle
attestazioni alle regioni e alle province autonome, che ne facciano richiesta, limitatamente
al loro ambito territoriale di competenza.
Alcune pubblicazioni
hanno trattato dell’impatto della riforma dell’ISEE utilizzando banche dati
miste, come per il caso del lavoro dell’Istituto Regionale Programmazione
economica della Toscana (IRPET) pubblicato a luglio 2014 dal titolo “L’impatto
della riforma dell’ISEE sulle prestazioni socio sanitarie per la non
autosufficienza in Toscana” a cura di Letizia Ravagli. In questo studio sono
state utilizzate le dichiarazioni sostitutive uniche presentate nella Regione
Toscana nell’anno 2013 e l’indagine campionaria dell’ISTAT sui redditi e le
condizioni di vita delle famiglie EUSILC[1]
del 2011. Il lavoro, come rilevabile già dal titolo, è dedicato all’impatto
della riforma ISEE nell’ambito della non autosufficienza, utilizzato per
definire l’importo della compartecipazione dell’assistito alla spesa per la
quota sociale delle prestazioni erogate (pertanto esclusa la quota sanitaria in
quanto livello essenziale delle prestazioni), distinguendo tra prestazioni
domiciliari e prestazioni in residenze assistite. Prima della riforma ISEE la
Toscana utilizzava le proprie regole che, in base alla tipologia della prestazione,
prevedevano o il calcolo dell’indicatore del solo assistito considerando i
redditi ai fini IRPEF oltre al patrimonio in un caso, o anche le indennità previdenziali
e assistenziali nell’atro caso e sommando anche l’ISEE dei parenti in linea
retta se le risorse del beneficiario non fossero state sufficienti a coprire le
spese. In questo lavoro è stato simulato, per lo stesso soggetto, sia l’ISEE
pre-riforma (in quanto la particolarità delle modalità di calcolo non
consentiva di utilizzare i dati INPS tali e quali) che quello post-riforma. Il
nuovo ISEE ha definito anche la casistica delle prestazioni agevolate di natura
socio-sanitaria, andando quindi ad azzerare la normativa regionale. Secondo
questo studio la riforma ISEE avrebbe portato in maggior parte, per le classi
ISEE più basse, a una riduzione, seppur lieve, dell’indicatore; per le classi
più alte il rapporto si rovescia e coloro che ne sono svantaggiati sono
presenti in misura maggiore rispetto a coloro che ne sono avvantaggiati e con
incrementi maggiori rispetto ai decrementi previsti per le classi più basse.
Un altro lavoro, sempre
del 2014, è “Gli effetti distributivi della riforma dell’ISEE: la Puglia in
prospettiva comparata” di Michele Raitano. In questo caso è stata utilizzata
una diversa banca dati, l’indagine SHIW della banca d’Italia[2].
È stato quindi utilizzato un campione rappresentativo di tutto il territorio
nazionale ed è stato calcolato l’ISEE ordinario, cioè sono esclusi i casi
dell’ISEE per prestazioni socio-sanitarie, per i minorenni, per il diritto allo
studio e l’ISEE corrente. Anche qui, come peraltro in tutti gli altri casi, sono
state fatte delle necessarie assunzioni per la mancanza di alcune informazioni,
tuttavia una risulta molto importante: ovvero l’impossibilità di ricostruire il
valore del patrimonio ai fini IMU. Lo studio si concentra poi sui valori ISEE
inferiori a 20.000 euro, soglia scelta in quanto oltre questo valore è stato
ritenuto che i soggetti non accedano a prestazioni sociali e rileva un aumento
dell’indicatore tra l’1,3% e il 7,4% dovuto alla riforma. La componente
reddituale post-riforma risulta più alta del 24%, imputando la crescita ai
trattamenti assistenziali in precedenza non inclusi, mentre la componente
patrimoniale sarebbe stata più bassa del 26-28% in virtù delle maggiori
detrazioni previste per l’abitazione principale e di quelle minori previste per
la componente mobiliare del patrimonio[3].
Emerge poi la riduzione degli ISEE con valore zero, pari allo 0,5% delle
attestazioni a fronte del 9% pre-riforma. Lo studio evidenzia infine che per
livelli bassi di ISEE (sotto i 7.000 euro), i soggetti che con la riforma
risultano essere più ricchi, lo sono in misura più che proporzionale rispetto a
coloro che invece risultano essere più poveri.
Ancora un lavoro di valutazione
ex ante, che però utilizza dati diversi, è “Il Nuovo Indicatore della
Situazione Economica Equivalente: È Una Vera Riforma?” di Martina Menon,
Federico Perali, Veronica Polin del Dipartimento di Scienze economiche
dell’Università di Verona del 2015. In questo caso è stata utilizzata la banca
dati dell’indagine campionaria IT-SILC 2008, che rispetto a quella utilizzata
da Raitano è più completa per quanto riguarda i redditi e il patrimonio
immobiliare mentre è più lacunosa per quanto riguarda il patrimonio mobiliare.
Anche questo studio, come quello precedente, è svolto a livello nazionale ma
con risultati diversificati anche per macroregioni. Secondo questo studio «la
riforma […] sembra tale più di nome che di fatto, […] per la popolazione
italiana l’ISEE post-riforma è aumentato di circa il 3% variando da circa il 2%
al Nord e al 4-5% al Centro e al Sud.» Tuttavia, rispetto al precedente studio
in questo caso la componente patrimoniale subisce un incremento che è più che
compensato dalla componente reddituale, redditi che invece sono diminuiti
grazie alle detrazioni. Pur con risultati parziali completamente diversi anche
in questo lavoro risulta che per bassi livelli di ISEE l’aumento
dell’indicatore risulta più alto rispetto alle classi di ISEE più elevate. Le
famiglie con invalidi risultano svantaggiate dalla riforma, specie nel centro e
al sud, mentre ne sono avvantaggiate le famiglie povere con un solo genitore.
Risulta assai complicato
fare una sintesi dei diversi studi, sia per l’utilizzo di banche dati diverse –
o promiscue – che hanno comportato il dover fare alcune assunzioni, anche molto
forti come nel caso della impossibilità di risalire al valore IMU, sia per le
diverse finalità degli studi che si sono concentrati su alcuni aspetti. Tutti
risultano accomunati dalla difficoltà nel trattare le novità introdotte dalla
riforma in merito ai disabili, sia per l’aspetto relativo ai trattamenti
assistenziali, previdenziali ed indennitari che sono – o meglio, che erano –
entrati a far parte dei redditi, sia per le detrazioni personali e del nucleo
legate alla condizione di disabilità. Questa problematica è stata un limite, per
tutti gli studi, nel procedere a una più attenta valutazione dell’impatto della
riforma e, a seguito dei successivi sviluppi, anche un limite nell’attribuire
una validità agli studi stessi.
Tra gli studi di valutazione
ex ante una menzione particolare va riservata a quello dell’IRPET pubblicato a
maggio 2015, per il quale vi è una analisi un po’ più dettagliata nel terzo
capitolo. Nello studio IRPET sono stati utilizzati i dati delle dichiarazioni
sostitutive uniche del 2014 presentate dagli studenti universitari della
Toscana, integrati da altre banche dati esterne. Seppur con valori medi
diversi, tutti sottostimati rispetto a quello che è poi stato l’ISEE effettivo,
in special modo per la parte reddituale, l’affermazione dell’IRPET che «quando
la situazione degli studenti migliora è grazie al ruolo della componente
reddituale, quando invece peggiora è soprattutto il patrimonio a incidere
negativamente», trova qui una decisa confermata.
[1] «Il
progetto EU-SILC (Statistics on Income and Living Conditions), […] costituisce
una delle principali fonti di dati per i rapporti periodici dell’Unione Europea
sulla situazione sociale e sulla diffusione della povertà nei paesi membri.» «L’indagine
è condotta su un campione di circa ventinovemila famiglie estratte casualmente,
distribuite in circa 640 comuni italiani di diversa ampiezza demografica.»
(fonte: https://www.istat.it/it/archivio/5663).
[2] Acronimo
di Survey on Household Income and Wealth, «l'indagine nasce negli anni
'60 con l'obiettivo di raccogliere informazioni sui redditi e i risparmi delle
famiglie italiane. Nel corso degli anni l'oggetto della rilevazione si è andato
estendendo per includere anche la ricchezza e altri aspetti inerenti i
comportamenti economici e finanziari delle famiglie, come ad esempio l'uso dei
mezzi di pagamento. Nelle ultime indagini il campione è formato da circa 8.000
famiglie (20.000 individui), distribuite in circa 300 comuni italiani.» (fonte: https://www.bancaditalia.it/statistiche/tematiche/indagini-famiglie-imprese/bilanci-famiglie/index.html?com.dotmarketing.htmlpage.language=102)
[3] Entrambi
i valori sono dissonanti con tutti quelli degli altri studi in questione; per
la valutazione della componente patrimoniale a causa della limitazione
manifestata, mentre per la componente reddituale risulta, probabilmente,
spiegata dalla sottostima delle detrazioni per la presenza di disabili.