Storia
ISEE
L’indicatore della
situazione economica è strettamente collegato al diritto allo studio
universitario. E’ infatti proprio nell’ambito della concessione delle borse di
studio erogate dall’Opera universitaria di Trento che, su proposta di
Gianfranco Cerea, fu abbandonato il criterio di basarsi esclusivamente sul
reddito IRPEF introducendo, nei criteri di valutazione della condizione
economica della famiglia dello studente, il patrimonio mobiliare e quello immobiliare,
che dovevano essere autodichiarati dallo studente.
Il criterio dell’Opera
universitaria di Trento fu poi esteso a livello nazionale e sempre nell’ambito
del diritto allo studio universitario. Fu infatti la L. 537/1993[1] a stabilire che “l'individuazione delle
condizioni economiche [degli studenti] va effettuata tenendo conto anche della
situazione patrimoniale del nucleo familiare.”
La ratio che ha portato a considerare il patrimonio nel calcolo della
valutazione della condizione economica è che tale componente di benessere può liquidata
contribuendo al benessere della famiglia e, inoltre, può risolvere i problemi
di asimmetrie informative, indicando casi di “occultamento di reddito da parte
del richiedente il beneficio” (Baldini e Toso, 2000).
Il DPCM del 13 aprile
1994[2]
– approvato ai sensi dell’art. 4 della L. 390/1991 , che però non
contemplava il patrimonio – prevedeva quindi dei dettagliati criteri per la
valutazione delle condizioni economiche. Veniva così previsto che, oltre al
reddito, sia gli elementi mobiliari che quelli immobiliari dovevano far parte
dei criteri di valutazione, “con l'intento di escludere dagli interventi [per
il diritto allo studio] le situazioni in cui il nucleo familiare registra un
patrimonio particolarmente elevato, anche indipendentemente dall'ammontare del
reddito”. Venivano stabiliti i criteri per la determinazione del nucleo
familiare e prevista la casistica dello studente indipendente, che poteva
prescindere dalle condizioni economiche dei genitori sulla base della
residenza, del patrimonio e del reddito e rinviando alle condizioni che le regioni
avrebbero poi stabilito.
La proposta di
utilizzare uno strumento di valutazione della ricchezza, che andasse oltre il
mero dato reddituale, fu fatta, nel 1997, dalla Commissione per l’analisi delle
compatibilità macroeconomiche della spesa sociale, istituita dal Governo e
detta Commissione Onofri, che proponeva di “ridefinire e uniformare i criteri
di misura e accertamento dei mezzi a cui è subordinata l’erogazione delle
prestazioni di sicurezza sociale e più in generale dei servizi pubblici”, in
modo da trovare un “[equilibrio] fra universalismo, quanto ai beneficiari, e
selettività, quanto all’erogazione delle prestazioni”.
Questa proposta fu
recepita dal legislatore che inserì nella L. 449/1997[3],
all’art. 50 comma 51, una delega al Governo per l’emanazione di “uno o più
decreti legislativi per la definizione […] di criteri unificati di valutazione
della situazione economica dei soggetti che richiedono prestazioni sociali
agevolate nei confronti di amministrazioni pubbliche”. L’esercizio della delega
portò all’approvazione del D.Lgs. 109/1998[4]
che dette vita all’ISEE – indicatore della situazione economica equivalente.
Prima del D.Lgs.
109/1998, sempre nell’ambito del diritto allo studio universitario, il DPCM 30
aprile 1997[5] aveva in
pratica sperimentato quello che sarebbe poi stato l’ISEE, con l’introduzione
dell’indicatore della condizione economica (ICE) e dell’indicatore della
condizione patrimoniale (ICP). Tra le principali innovazioni stabiliva che il
patrimonio concorreva per il venti per cento al calcolo dell’indicatore della
condizione economica; veniva fissata una scala di equivalenza, diversa però da
quella che poi sarà prevista nell’ISEE e venivano definiti due criteri per
stabilire se lo studente potesse essere considerato indipendente: residenza
fuori dal nucleo familiare di origine dal almeno un anno in un casa non di
proprietà di un membro di tale nucleo, e con “redditi da lavoro non inferiore
ai 24 milioni di lire con riferimento ad un nucleo familiare convenzionale di
tre persone.”
[1] Legge 24
dicembre 1993, n. 537, “Interventi
correttivi di finanza pubblica”.
[2] Decreto Presidenza Consiglio Ministri 13 aprile
1994, “Uniformità di trattamento sul diritto agli studi universitari, ai sensi
dell’art.4 della legge 2 dicembre 1991, n. 390”.
[3] Legge 27
dicembre 1997, n. 449, "Misure per la stabilizzazione della finanza
pubblica".
[4] Decreto
Legislativo 31 marzo 1998, n. 109, “Definizioni di criteri unificati di
valutazione della situazione economica dei soggetti che richiedono prestazioni
sociali agevolate, a norma dell'articolo 59, comma 51, della legge 27 dicembre
1997, n. 449”.
[5] Decreto
Presidenza Consiglio Ministri 30 aprile 1997, “Uniformità di trattamento sul
diritto agli studi universitari, ai sensi dell’art.4 della legge 2 dicembre
1991, n. 390”.
[6] Decreto
legislativo 3 maggio 2000, n. 130 “Disposizioni correttive ed integrative del
decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 109, in materia di criteri unificati di
valutazione della situazione economica dei soggetti che richiedono prestazioni
sociali agevolate”.
[7] Legge 4
novembre 2010, n. 183, “Deleghe al Governo in materia di lavori usuranti, di riorganizzazione
di enti, di congedi, aspettative e permessi, di ammortizzatori sociali, di
servizi per l'impiego, di incentivi all'occupazione, di apprendistato, di
occupazione femminile, nonché' misure contro il lavoro sommerso e disposizioni
in tema di lavoro pubblico e di controversie di lavoro”.
[8] Decreto
del Presidente del Consiglio dei Ministri 9 aprile 2001, “Uniformità di
trattamento sul diritto agli studi universitari, ai sensi dell'articolo 4 della
legge 2 dicembre 1991, n. 390".
[9] Decreto
del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445 , "Disposizioni
legislative in materia di documentazione amministrativa
[10] L’imposta
comunale sugli immobili – ICI – è stata introdotta dal decreto legislativo del
30 dicembre 1992, n. 504 e prevede la determinazione della base imponibile,
cioè del valore ICI degli immobili, applicando all'ammontare delle rendite
risultanti in catasto i moltiplicatori determinati con i criteri e le modalità
previsti dal primo periodo dell'ultimo comma dell'articolo 52 del testo unico
delle disposizioni concernenti l'imposta di registro, approvato con decreto del
Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131, rivalutatati con vari
interventi legislativi successivi. I moltiplicatori variavano da 34 a 100 a seconda
delle categorie catastali.